Un inverno freddissimo di Fausta Cialente

“Come ad un segnale prestabilito i colombi si alzarono in volo, aleggiarono sui tetti corrosi, sulle vecchie terrazze, intorno ai neri comignoli da cui non uscivano ancora le pallide volute di fumo, e con rapidi colpi d’ala accerchiarono festosamente le guglie e i campanili. Dall’alto essi potevano vedere le dolenti ferite della grande città, i ruderi fuligginosi dei focolai spenti, residui degl’incendi di guerra, le macerie delle case arse e sfondate, dove negl’interni crollati il brecciame intasava le finestre dei pianterreni e a volte arrivava fino a quelle dei primi piani. La vivacità, l’allegria di quei voli mitigavano la tristezza della città silenziosa così gravemente sfregiata dalla sventura, che sembrava ancora stordita e inerte dall’aver sepolto tanta vita.”

Ho letto e riletto l’incipit di questo romanzo, per la poesia e la bellezza delle immagini che Fausta Cialente fa scaturire dalla sua penna. Più leggevo e più avevo la sensazione di vedere ogni scena del libro a occhi aperti, pativo il freddo della soffitta, soffrivo per la malinconia di Camilla.  Per quanto io legga tanto e per quanto io posso aver letto bei libri  nell’anno passato, in nessuno, e lo scrivo con convinzione, di quei libri ho trovato lo stesso piacere nella lettura, un piacere che ha qualcosa di privato e intimo. È quello stesso piacere che ho sentito nel leggere i romanzi di altre grandi scrittrici, profonde conoscitrice di emozioni e capaci di scendere più in profondità nell’animo umano rispetto ai loro colleghi scrittori. 

È così che ha inizio “Un inverno freddissimo” di Fausta Cialente, con un volo d’uccelli, simile a una ripresa dall’alto di un film, per mostrarci una Milano ferita dalla guerra, conclusa da poco, e i suoi abitanti, formìche agli occhi dei colombi, intenti a vivere una nuova quotidianità. Poi ecco, vediamo i colombi appollaiarsi sulla terrazza di una soffitta e da una finestra affacciarsi Camilla, madre e zia, collante di una famiglia allargata che abita una fredda soffitta, nell’inverno del 1946. Nel lungo e freddissimo inverno milanese, Camilla e i suoi familiari provano a rimettere su, pezzo per pezzo, le proprie vite. Oltre al freddo, condividono gioie e dolori, stati d’animo speranze e desideri. In un’atmosfera smorzata dal freddo invernale, i dolori della guerra appena conclusa sembrano essere indelebili, i ricordi di chi è morto o fuggito sono i fantasmi di quella fredda soffitta. 

La colonna portante della famiglia è Camilla, per loro crea una quotidianità, le sue sono cerimonie fatte di gesti invisibili agli occhi degli altri abitanti, le abitudini della casa dipendono da lei. Camilla ha deciso di accettare il passato, che la vede abbandonata dal marito durante la guerra, per i suoi cari tenta di guardare avanti, ma nonostante la sua forza Camilla è stanca e sente di essere una donna sola, eppure “ quell’insopprimibile senso di vivere, di aspettare qualcosa dalla vita non l’ha mai abbandonata”, è così che Fausta Cialente crea una personaggio letterario di rara bellezza. 

“Posò il lavoro sulle ginocchia, il latte era diventato freddo, i colombi erano di nuovo volati via.”Una donna sola, ecco quel che sono”. Ma quell’insopprimibile senso di vivere, di aspettare qualcosa dalla vita non l’ha mai abbandonata, ce l’ha al mattino sve gliandosi, la sera andando a letto è il vero compagno della sua solitudine; e le viene in mente suo padre (che non era, no, silenzioso e diffidente come sua madre) quando la gettava dalla barca in acqua perché imparasse a nuotare. Ha avuto ragione, suo padre: ha imparato a nuotare, l’ha imparato proprio bene, ancora le sembra di fendere a lunghe, calme bracciate l’immenso spazio che pur l’allontana sempre più dalla sua giovinezza.”

E gli altri abitanti della soffitta? C’è la ribelle Alba desiderosa di una vita più agiata, Lalla che sogna di diventare una grande scrittrice, Guido spera di essere un attore. C’è il nipote Arrigo, musicista, e con lui la moglie Milena; infine ci sono Regina vedova del nipote Nicola, e il dirimpettaio Enzo. Ognuno di loro vuole qualcosa dalla vita, qualcosa che li porti lontani da quella fredda soffitta. 

Un ultimo appunto, Cialente appartiene a un gruppo di scrittrici e scrittori, intellettuali e artisti che arrivano dall’esperienza della grande guerra e che hanno dato alla luce grandi opere; inoltre è una viaggiatrice, conoscitrice di molte culture, politicamente attiva, antifascista, autrice di romanzi e vincitrice di premi. Fausta Cialente purtroppo rientra in quel gruppo di scrittrici italiane dimenticate e ignorate da tempo e mi auguro che con questa nuova edizione edita da Nottetempo , questa grande scrittrice possa nuovamente trovare posto sugli scaffali di molti lettori. 

Duccio

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