Ho letto e divorato “Le Transizioni” di Pajtim Statovci, pubblicato da Sellerio. Il giovanissimo scrittore trentenne, nato nel 1990 in Kossovo e cresciuto in Finlandia con la famiglia, spiazza il lettore con le sue pagine, ponendosi al pari di grandi autori.

Alla vicenda de “Le transizioni” fa da sfondo il difficile periodo storico attraversato dell’Albania agli inizi degli anni novanta, a questo si aggiunge l’improvviso disfacimento di un nucleo familiare . Entrambe queste situazione spingono l’ancora adolescente Bujar, che ormai vive nella più totale povertà, a fuggire da Tirana, << la discarica d’Europa…, la prigione a cielo aperto più grande d’Europa>>.
Bujar porta via con se ben poco; le storie che il padre inventava, quando lui era ancora un bambino e i ricordi della sua infanzia, passata in compagnia del suo grande amico Agim.
Nel corso di tredici anni, Bujar va alla ricerca di una casa, un luogo dove poter ricominciare. Si sposta da Roma a Berlino, da Madrid a New York, fino a Helsinki. In ognuno di questi luoghi egli cambia e inventa una nuova identità . Bujar è un ragazzo di ventidue anni che sa diventare donna, maschile e femminile vivono in lui. Non ha altre certezze se non questa, essere un uomo o una donna non fa alcuna differenza. Continuando a reinventare il suo passato, Bujar però perde la sua identità e le sue radici, il suo è un continuo pellegrinare di luogo in luogo alla ricerca di se stesso.
<< Poi mi trasferii a Roma e decisi di dimenticare tutto quello che mi era successo, di rimuovere dalla mente il mio nome, la casa e la famiglia che avevo perduto […], i sogni e le speranze, perché nel mio passato non c’era nulla di buono, non era rimasto nessun luogo dove volessi tornare e nulla che volessi raccontare ad altri.>>
Suoi compagni sono la solitudine e il dolore, che lo seguono lungo i suoi viaggi.
Le Transizioni racconta lo stato naturale dell’uomo, la solitudine, che si tramuta in straziante dolore e dilania le coscienze, fino a far perdere il senso di ogni cosa, trasformando la vita in perenne sofferenza, mentre i pochi attimi di gioia e spensieratezza vengono messi da parte tra i ricordi.
Inoltre, Statovci affronta, splendidamente, la tematica dell’appartenenza di genere, attraverso i pensieri e le parole del protagonista, che ci dice quanto realmente poco importi definirsi uomo o donna al giorno d’oggi. Un pensiero che è ancora poco condiviso nel mondo.
Tutto ciò, può sembrare ai nostri occhi una questione privata. Ma Statovci con la sua scrittura, che indaga e scava tra i meandri del dolore, non da tregua al lettore che trova difficile interrompere la lettura e sente la necessità di continuare a voltare quelle pagine.
Questo giovanissimo, già grande, autore è stato capace di raccontare una storia che viene attraversata da numerosi fili, che camminano paralleli su piani temporali diversi, ma che pian piano si incontrano, legandosi l’uno all’altro e ci guidano verso il finale, onirico e liberatorio, del libro.
Duccio.