I vagabondi di Albany: Ironweed di William Kennedy

Ironweed di William Kennedy, pubblicato da Minimumfax,  rientra in pieno nel filone della letteratura americana che si è interessata alle storie di quella parte d’America a volte dimenticata.

Come fa Kent Haruf nella trilogia della pianura,  così William Kennedy  ambienta i suoi romanzi nella piccola città di provincia Albany, raccontando le storie dei suoi cittadini.  All’inizio del libro veniamo introdotti nella città di Albany con una visita al cimitero posto in cima a una collina, dove i fantasmi dei morti escono fuori dalle loro lapidi, come non pensare a Spoon River di Edgar Lee Masters, bisbigliando qualcosa che solo il protagonista della storia può sentire.

Quando il libro fu presentato all’editore,  Kennedy ricevette un iniziale rifiuto, perché questo nuovo romanzo era diverso dai suoi precedenti lavori e toccava tematiche sociali più forti. A convincere l’editore fu l’intervento dello scrittore Saul Bellow, altro autore della casa editrice Viking. Dopo l’uscita del romanzo, il successo fu immediato e un anno dopo  Kennedy ricevette il Premio Pulitzer per la narrativa. 

Ironweed racconta di Francis Phelan, ex grande promessa del football, che vede la sua vita scivolare nei fiumi dell’alcool e della povertà. Tutto inizia quando Francis vede cadere dalle sue mani il figlio neonato e morire senza poter far nulla. 

Dopo tanti anni di vagabondaggio, in giro per l’America, Francis torna ad Albany con la sua compagna Helen, con lei condivide una vita di stenti, di dolori e rassegnazione. Entrambi si sono arresi al destino e vivono nei ricordi del loro passato; Francis avrebbe potuto avere una vita tranquilla con la sua famiglia;  ed Helen sarebbe potuta diventare una grande cantante.

I due invece, invecchiati dal tempo e da anni di vagabondaggio,  camminano per le strade di Albany, durante una delle sere più fredde dell’anno, parlano, ricordano, discutono e mettono a nudo i loro sentimenti. Tra le righe e le parole del libro il lettore si fa carico della malinconia, della triste e dolce bellezza di questi due personaggi, che si amano e si voglio bene e ora giunti alla fine della loro corsa.

Realtà e immaginazione, passato e presente, si fondo tra le pagine del libro e tra i pensieri  di Francis, continuamente seguito e tormentato dai suoi fantasmi, vecchi amici e nemici, pronti a ricordargli i suoi peccati e gli sbagli commessi.

Nella parte più profonda di sé, pronta a trarre le conclusioni più inconfessabili, si disse: Il senso di colpa è tutto quel mi resta. Se lo perdo, avrò combattuto per niente, non avrò fatto niente non sarò stato niente.

Ironweed è il libro che racconta l’America degli invisibili, il paese degli ultimi. Le sue storie sono intrise di una grande malinconia, i suoi personaggi non hanno più alcuna speranza di avere una vita migliore e non credono più in Dio. Ma è nei loro gesti e nelle loro parole d’arresa  che si nasconde la poesia, è la bellezza della vita che emerge tra le righe di Kennedy, che seguono un unico filone narrativo incrociando realtà e visioni, rendendo a volte difficoltosa la lettura. Sono queste le vite, povere e semplici, che lasciano davvero qualcosa alla fine,  piene del dramma più classico e più sincere ed oneste delle nostre. 

Duccio.

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